
Il racconto di un Primo Maggio virtuale
- Scritto da Commissione Comunicazione
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Anche quest’anno, la GiOC non ha mancato l’appuntamento del Primo Maggio dei Lavoratori per scendere - virtualmente - in piazza. “Piazzati in Rete” è il titolo di questa edizione particolare del Primo Maggio. Il titolo ha un duplice significato: da una parte è stato scelto perché fotografa con efficacia la situazione che abbiamo vissuto negli ultimi mesi, per la quale siamo stati costretti a vivere gran parte delle nostre esistenze online; dall’altra parte vuole essere un motivo di speranza, un augurio perché i giovani, attraverso la riscoperta degli spazi d’azione collettiva, si mobilitino insieme per un rinnovamento della società.
Nei giorni che hanno preceduto il Primo Maggio, la GiOC ha deciso quindi di lasciare spazio alle esperienze dei giovani e delle giovani che da poco fanno parte del mondo del lavoro, che studiano o che quel posto nel mondo ancora non l’hanno trovato. Le storie che abbiamo raccolto sono uniche e raccontano tanto di ciò che sta vivendo la nostra generazione.
Gli ambienti di lavoro si sono trasformati. Federico, operaio di 21 anni, racconta: “In fabbrica siamo solo in 2 e non più 20 per ogni turno e dobbiamo indossare le mascherine e i guanti in lattice. Ogni giorno ci viene misurata la febbre, dobbiamo pulire il banco con un disinfettante e firmare un foglio come verifica”.
Per Giulia, farmacista di 25 anni, la crisi che stiamo vivendo ha stravolto l’essenza stessa del suo lavoro. La sua speranza - dice - è quella di “poter ritornare presto a tessere quel filo invisibile tra me e il cliente, poter tornare ad esprimere al massimo la mia professionalità, mettermi al fianco delle persone e non davanti, separati un vetro, dietro una mascherina”.
Il periodo di quarantena ha poi messo in sospeso progetti di vita. Come nel caso di Eva, 24 anni, per cui la quarantena ha coinciso con la settimana della cerimonia di laurea Magistrale in Design, pochi giorni prima che potesse partire all'estero per lavoro.
La speranza e la voglia di progettare però non mancano. Sara ha 24 anni, fa la maestra e alla domanda “cosa si può fare?” risponde: “Si può fare il massimo - e chi è maestro sa molto bene cosa significa dare anima e corpo ai propri studenti -, cercando di barcamenarsi tra le mille difficoltà, tra una classe virtuale e l’altra. Ma non bisogna dimenticarsi mai dell’elemento più importante dell’apprendimento, la dimensione relazionale”.
Jennifer ha 17 anni e studia per lavorare nel campo della ristorazione; per lei questo periodo è molto difficile ma anche un’occasione per riflettere di più su sé stessa, pensare al futuro e alle cose che potrà fare una volta che questo periodo sarà finito.
Anche Angela, artigiana di 37 anni, nel corso di queste settimane ha visto la sua attività passare un momento di difficoltà, ma di una cosa è certa: “La speranza e l’entusiasmo per il futuro che presto arriverà non dovranno mancare”.